La “vecchia scuola” investigativa (di cui faccio parte) vede i media
come una peste in grado di rovinare qualsiasi indagine criminalistica.

Quando nel 2007 la mia agenzia investigativa Cyanea fu incaricata di svolgere indagini penali difensive in favore di Filippo Pappalardi, arrestato ingiustamente con la falsa accusa di aver assassinato i suoi due figli, Ciccio e Tore, mi guardai bene dal parlare con chicchessia, perché la “vecchia scuola” (di cui faccio parte) vede i media come una peste in grado di rovinare qualsiasi indagine criminalistica.

          Mentre io e gli investigatori privati della mia agenzia investigativa Cyanea mantenevamo il massimo riservo come da manuale, subendo anche un controllo della Polizia amministrativa ordinato dalla Procura di Bari, magistrati e inquirenti istituzionali assegnati al caso Pappalardi facevano a gara nell’assecondare la propria vanità pur di apparire in televisione.

          Nella tragica fine dei fratellini Ciccio e Tore Pappalardi, oltre ai peccati di vanità e presunzione, si commisero tutti gli errori investigativi che si potevano commettere. Mai mi è capitato di vederne tanti insieme nella mia carriera di investigatrice privata titolare dell’agenzia Investigazioni Cyanea e abilitata alle indagini penali difensive:

  • Si è infranta la regola aurea sulla prime 24 ore. Papà Filippo Pappalardi è stato invitato a riprendere le ricerche la mattina dopo dalla sera della scomparsa, sacrificando una decina d’ore utili, perché non c’era disponibile nessuna automobile della polizia.
  • Di conseguenza, si è commesso il secondo errore, cioè pretendere di pattugliare il territorio in automobile per effettuare le prime batture di ricerca che avrebbero dovuto essere eseguite esclusivamente a piedi, non essendo i fratellini Pappalardi dotati di automezzi.
  • Il terzo sbaglio è stato non considerare abbastanza le prime testimonianze raccolte in ordine temporale, che per esperienza in genere sono quelle giuste. Tra i primi testimoni ascoltati, due signore collocarono i fratellini Pappalardi vicino alla “casa delle cento stanze”.
  • Il quarto enorme sbaglio è stato imboccare indagini a senso unico contro l’intera famiglia Pappalardi, senza valutare la sua reale capacità, morale oltre che materiale, di commettere i delitti immaginati dall’Accusa (scrivo “immaginati” e non ipotizzati, perché le farneticazioni accusatorie non meritano un termine tanto professionale).

Per dare un’idea di tanta incompetenza, riporto di seguito cosa scriveva il PM incaricato, senza aver visto la scena dell’ipotetico crimine né i corpi delle vittime: “Noi italiani siamo molto prudenti e abbastanza scettici sulla validità e l’effettiva utilità del profyling (n.d.a.: scritto proprio così negli atti giudiziari) dell’autore del delitto, ma la polizia federale Statunitense in questi casi avrebbe fornito la seguente descrizione dell’assassino: Maschio, di pelle bianca (n.d.a.: caucasico sembrava troppo professionale), di età compresa tra i 20 ed i 50 anni. Cresciuto e vissuto nello stesso posto dove abitavano le vittime che conosceva molto bene. Soggetto irascibile ma scaltro e calcolatore e dalla personalità bene organizzata (n.d.a.: la distinzione tra organizzato e disorganizzato non riguarda la personalità). Intelligente, svolge un lavoro che ha a che fare con la manualità. Nutre scarsa affettività verso le vittime e non prova rimorso”.

  • Il quinto errore fu di non usare più la testa del distintivo. In 34 anni di carriera come investigatore privato, titolare dell’agenzia Investigazioni Cyanea, non mi è mai capitato d’incontrare così tanti potenziali testimoni traumatizzati dai metodi bruschi e autoritari della polizia, come quando fui incaricata di svolgere le indagini penali difensive nell’interesse di Filippo Pappalardi.
  • Infine, la polizia e il PM, quando oramai brancolavano nel buio, hanno commesso uno dei più comuni errori investigativi, cioè confidare troppo nelle scienze e tecnologie forensi per arrivare alla soluzione del caso. Si dice che la Procura di Bari abbia speso più di un milione di euro per realizzare quel pasticciaccio del Caso Pappalardi, tra intercettazioni telefoniche, ricerche geologiche forensi, impiego di cani molecolari e altre indagini scientifiche mal gestite dalla polizia giudiziaria.

Nella storia della cronaca nera vanità, presunzione ed eccessivo affidamento sulle discipline specialistiche forensi hanno guastato molte indagini criminali, lasciando per sempre impuniti i responsabili. Come si può, dunque, pensare di risolvere i dubbi, se mai ce ne fossero, sulla morte di Ciccio e Tore Pappalardi, partendo proprio da meri rilievi scientifici e da un libro pubblicato sull’argomento e più utile alla vanità dell’autore che alla soluzione degli interrogativi. Ho paura che i poveri Ciccio e Tore Pappalardi e soprattutto i loro tormentati familiari faranno la stessa fine di altri parenti di povere vittime come Denise Pipitone, Angela Celentano, ecc.: cioè quella di servire da palinsesto a giornalisti a corto di idee e di scrupoli.

Tornando al peccato di vanità, si d’accordo: anch’io scrissi il libro “Padri Oltraggiati” per raccontare la vicenda Pappalardi, ma a indagini finite e per contrastare le bugie che continuavano ad aleggiare sulla vicenda, come quella, tanto amata dai Procuratori di Bari per giustificare le loro imbarazzanti indagini, secondo la quale i bambini sarebbero precipitati, fuggendo dal padre violento.

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